Vaste distese di sabbia

Nell’aula scolastica i banchi erano in numero sufficiente e, oltre alla cattedra, potevo disporre di libri, quaderni e di una grande carta geografica dell’Italia appesa a una parete. La scolaresca era invece numericamente piuttosto scarsa perché i bambini in età scolastica, quando la guerra aveva cominciato a divampare, erano stati inviati in Italia presso colonie marine e montane e perciò al villaggio erano rimasti solo i più piccini. A mala pena riuscii a reclutare sette o otto marmocchi di età compresa fra i cinque e i sette anni ai quali, con santa pazienza cominciai a insegnare a leggere, scrivere e contare. Erano per lo più bambini svegli e intelligenti, ma che purtroppo nell’ambito delle rispettive famiglie si esprimevano in dialetto siciliano e perciò la mia prima difficoltà fu di farmi intendere e di capire il significato delle loro espressioni. Ma questa situazione fu di breve durata e col passare dei giorni constatai con piacere che i miei alunni facevano sensibili progressi. Mentre dedicavo la mattinata all’insegnamento, il pomeriggio lo trascorrevo girando per i poderi che ogni colono aveva in dotazione in prossimità del villaggio. Fui stupito nel constatare come quegli appezzamenti di terreno non fossero altro che vaste distese di sabbia delimitate da siepi di tamerici che agivano da frangivento, impedendo quindi la formazione di dune. Anche in questi poderi venivano in prevalenza coltivati i cereali, la vite, il mandorlo e l’ulivo dai quali quei coraggiosi agricoltori traevano da anni il loro sostentamento.