Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1948Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Annibale Mattavelli, minatore bergamasco che lavora in Belgio, ha picchiato un suo collega reo di aver ucciso un cavallo malandato a causa del troppo lavoro sotterraneo. Viene licenziato e capisce che la sua esperienza emigratoria è giunta al termine.
Ho deciso che a questo punto non mi rimane che tornarmene a casa, ma non ho un franco che è uno per pagarmi il viaggio di ritorno. Provo al Consolato italiano di Charleroi, chissà che mi diano un qualche mezzo, un aiuto per tornarmene in Italia. Mi presento a un funzionario, è un uomo di taglia media, grigio e peloso e ha un’espressione del viso uguale a quella di un dromedario. È anche mal garbato. Quando poi gli spiego il motivo della visita diventa spocchioso e mi squadra con astio. Mi dice che dovrei soffrire di più per la mia patria, perché per ogni italiano che abbandona le miniere del Belgio il nostro Paese, secondo accordi fra le due nazioni, riceve non so quante tonnellate in meno di carbone. Lo mando aff…
Comunque, mi dà un foglietto con un indirizzo di Bruxelles. Mi dice, vai là dove c’è scritto e troverai sicuramente un mezzo per tornare. Unito al foglietto c’è almeno il biglietto del treno per Bruxelles. A Bruxelles, a metà circa del Boulevard de neuvième Ligne c’è una caserma che lì chiamano “PETIT CHATEAU”. È una costruzione antica, (attualmente centro di raccolta per immigrati e rifugiati). Si tratta di un fabbricato dall’aspetto sinistro, cupo, di mattoni scuri, e in alcune parti è ricoperto parzialmente di rampicanti, la qual cosa anziché giovargli gli dà una malinconica sembianza crepuscolare. È una caserma e all’ingresso principale, un grande portale posto fra due massicce ma non troppo alte torrette, mi presento al corpo di guardia, dove gentilmente ma fermamente mi dicono che “noi” dobbiamo entrare dal lato posteriore, che è ancora più triste. In breve, lì mi hanno tenuto praticamente segregato per quasi un mese, fino al raggiungimento di un numero sufficiente per formare almeno un paio di vagoni ferroviari. Il cibo fa schifo, nessuno può uscire – c’è un poliziotto armato che magari ti spara anche – e se non altro c’è almeno un piccolo spaccio in cui puoi trovare birra e sigarette. Se hai soldi. Io non ne ho, ma in compenso ho cercato e trovato un po’ di solidarietà da altri bergamaschi miei concittadini.
Fatto il numero, una sera finalmente si parte. Ci inquadrano tutti in fila e scortati dalla polizia ci portano alla “Gare du Nord”, sigillano i vagoni e in questo modo il Belgio si sbarazza di noi come persone indesiderabili. Il governo italiano sapeva di tutto questo? Sì lo sapeva. E resterà a futura memoria come una delle pagine più vergognose della nostra storia.
Il viaggio
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