Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
LaosData di partenza
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Mauro Ferrari entra in servizio, in Laos, come insegnante laico all’interno di una missione religiosa.
Fu così, viaggiando, che occupai i miei primi mesi di permanenza al Laos. Nel frattempo terminò l’anno scolastico e, nel periodo di vacanze, per prepararmi ad insegnare, dovetti recarmi a Vientiane dove un professore francese, proveniente dall’università di Montpelier, impartiva corsi di matematica moderna al personale docente che avrebbe iniziato anche i laotiani a questa novità. Tutti i professori di matematica impegnati nelle scuole Lao dovettero assistervi e furono obbligati a sposare il nuovo metodo d’insegnamento e ad avvalersi dei nuovi libri di testo. Quelli che non se la sentirono di ricominciare a studiare, furono estromessi dalla scuola. I corsi conferivano l’abilitazione all’insegnamento della matematica moderna nella scuola francese e furono impartiti per alcuni anni a seguire. A settembre, ero pronto per cominciare l’esperienza d’insegnante di matematica moderna nella scuola Dao Hung. Oltre ai contenuti di matematica, per i primi tempi, dovetti studiare anche la forma più corretta per esporre la materia in un francese comprensibile. Mi fu assegnato anche il corso di fisica, e dovetti accollarmi, per mancanza d’insegnanti, il fardello della mineralogia. Gli anni successivi fui incaricato della ginnastica, del disegno, della geografia. All’inizio d’ogni nuovo anno i pochi padri e i due cooperanti occupati nella scuola si dividevano le materie non coperte d’insegnante, questo per consentire alla scuola di funzionare. Arrivai a superare le venticinque ore d’insegnamento settimanali. La scuola, oltre all’intera mattina, occupava anche alcuni pomeriggi. Non mancarono i corsi d’aggiornamento che dovetti impartire ai maestri e ad un gruppo di genitori particolarmente interessati alla matematica moderna. Per compensare l’attività mentale, m’ingaggiai come giocatore ed allenatore della squadra di pallone della scuola. Dopo un anno di severo allenamento, riuscimmo a vincere il torneo fra le diverse formazioni della città. Dovete sapere che i nostri alunni frequentavano fino alla troisième, ma non erano più giovanissimi perché l’iscrizione e la frequenza ad una scuola consentiva loro d’evitare il servizio militare. Nelle altre scuole della città si raggiungeva la maturità quindi gli alunni erano ancora più attempati. Anche le nostre ragazze vinsero i campionati con la loro squadra di pallacanestro. Fu un successo che si consolidò per diversi anni. Giocare al pallone a Luang Prabang esigeva l’osservanza di un cerimoniale specifico. I giocatori vestivano la divisa di gioco fin dal primo mattino e, caricati sul pulmino messo a disposizione da un cinese, si pavoneggiavano percorrendo in lungo e in largo le strade della città. Seppi più tardi che gli spettatori non si limitavano a seguire le partite, ma puntavano dei soldi sui risultati di queste e che il cinese non ci scarrozzava per la città solo per devozione. Dovevamo presentarci al campo da football almeno due ore prima della partita e lì, cominciava il riscaldamento di fronte ad un pubblico attento e divertito. Le partite erano trasmesse in diretta dalla radio locale. Il dopo partita finiva con il premio più ambito: una zuppa cinese consumata non dopo aver attraversato la città in trionfo. E vi par poco? lo feci parte anche della squadra rappresentativa della città che, di tanto in tanto si recava a Vientiane o nelle altre cittadine del Laos per celebrare, con dei tornei al pallone, le ricorrenze e le festività più importanti. Unico bianco del gruppo, uno dei pochi che si degnasse di giocare con gl’indigeni.
Riuscimmo anche a sconfiggere l’équipe dei militari francesi che si vantava di non aver mai perso una partita. Capitarono a Luang Prabang, un giorno e malgrado fossero dei giganti, furono sconfitti sul campo. Arrabbiati neri ci sfidarono sul loro terreno di Vientiane. Della partita di ritorno, a Vientiane, ricordo pochissimo. I militari francesi ci avevano ospitato in una gran capannone nel loro centro logistico. Passai la sera che precedeva la partita da solo, l’intera squadra aveva fatto visita ad un bordello locale, ed io, per far qualcosa, raggiunsi la missione culturale francese e assistetti alla proiezione di un film. L’indomani il campo rivelò l’integrità fisica dei contendenti. Solo che, dopo qualche minuto di gioco, in uno scontro non del tutto fortuito, ricevetti un colpo in testa tanto potente da crollare a terra svenuto. Fui ricoverato d’urgenza in infermeria. L’unico modo che i militari conoscevano per vincere era quello d’annientare l’avversario. Il tutto rientrava perfettamente nella loro logica. Mi svegliai dopo qualche ora, ancora intero e seppi che i miei compagni avevano perso malamente quella partita. Nella scuola m’ero incaricato della ginnastica. Far muovere i laotiani fu un compito infame, fra l’altro l’ora di ginnastica era relegata all’ultima del mattino, da mezzogiorno, all’una. Senza una palestra, all’aperto, sotto una cappa di caldo infernale, riuscii ad ottenere dei risultati insperati. Solo gli alunni della scuola cinese riuscivano a presentare, nelle feste ufficiali alle quali partecipavano le autorità cittadine, dei gruppi di studenti capaci di muoversi assieme. Ebbene, anche la scuola Dao Hung riuscì nell’intento d’offrire al pubblico esterrefatto uno spettacolo di quaranta ragazzi e ragazze laotiani, in costume, che si muovevano armonicamente al ritmo di una musica tradizionale. S’era così riscattato l’orgoglio della razza Lao che immancabilmente soccombeva se rapportato alle rappresentazioni degli alunni della scuola cinese che puntuali, ogni anno, presentavano una serie di perfetti esercizi ginnici.
Erano queste le piccole soddisfazioni che m’appagavano degli sforzi fatti. Le grandi soddisfazioni venivano invece dalla scuola. I risultati dei nostri alunni erano notevolmente superiori a quelli delle altre scuole. Gli studenti del liceo francese, che vantava fior di professori, lautamente pagati e fatti espressamente venire dalla Francia, non raggiungeva i nostri risultati. A fine corso, tutti i nostri alunni ottenevano il diploma laotiano, il novantacinque per cento superava il brevetto francese, ma la controprova più indicativa era offerta dai risultati dell’esame di passaggio al triennio nel liceo francese. Il numero chiuso ne selezionava necessariamente i migliori. Il settanta per cento dei nostri alunni superava la prova ed era ammesso al liceo, mentre solo il trenta per cento dei liceali provenienti dalla scuola francese otteneva risultati tali da consentire loro di continuare gli studi. Il primo anno d’impegno scolastico volse così alla fine, ed io ero felice per ciò che la vita m’offriva. Mi sentivo veramente realizzato. Il mio temperamento super attivo trovava qui il modo di realizzarsi. Era sufficiente accorgersi di un bisogno, pensare concretamente che fare e mille iniziative, non legate al placet burocratico, si mettevano in atto e si portavano a termine. Non c’era bisogno d’autorizzazioni particolari per agire nella scuola, non v’erano limitazioni di sorta, anzi, i buoni risultati conseguiti a tutti i livelli consentivano d’ottenere, a noi stranieri della missione cattolica, il sigillo d’approvazione e questo con un semplice sorriso o con un inchino rispettoso da parte dei laotiani. Non era lo stesso per i cooperanti francesi che numerosi erano ingaggiati nel liceo. Per lo più ragazzi giovani che si mettevano a disposizione per due soli anni evitando così il servizio di leva in Francia.
Il viaggio
Mestieri
impiegatoLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
LaosData di partenza
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Mauro Ferrari
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