Mestieri
imprenditoreLivello di scolarizzazione
frequenza scuola media inferiorePaesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1951Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Il tortuoso viaggio della famiglia Subisciaki dall’Eritrea alla Libia, nel 1951, prosegue attraverso l’Egitto. Non è facile percorrere le strade polverose e desertiche del Nord Africa con una vecchia Balilla e in un periodo in cui i confini sono vigilati attentamente.
Il giorno dopo ci imbarcammo, dopo un’agonizzante e penoso controllo doganale, prima di poter caricare a bordo della nave le poche macchine private. Quando nel pomeriggio la nave si staccò dalla banchina, tutti i passeggeri salutarono con le lacrime agli occhi e tanta nostalgia, quella terra che non avrebbero mai più rivisto e nella quale avevano passato la maggior parte della loro vita. Per la mamma fu un viaggio di sofferenza, perché soffrendo il mal di mare passò quattro giorni quasi senza mangiare, rimanendo in gabina supina tutto il tempo.
Arrivati a Port Said, parte dei passeggeri sbarcarono, mentre i profughi italiani provenienti dall’Eritrea, rimasero a bordo per proseguire per l’Italia.
Per noi invece, incominciarono i primi problemi al momento di sbarcare la macchina con le nostre cose personali.
L’ufficiale egiziano addetto al controllo dei passaporti, non considerava la parola “Transit” un visto di entrata e di attraversamento del territorio egiziano scritta sui nostri documenti dall’amministrazione britannica di Asmara, perché per attraversare il paese bisognava ottenere un visto speciale dalle autorità egiziane.
Già dal 1946 erano sorti gli attriti diplomatici con i britannici per la questione del canale di Suez e forse mio padre ne era a conoscenza, ma la nostra meta finale era la Libia e non si aspettava quella nuova disposizione delle autorità egiziane.
Questo inconveniente ci tenne in tensione e sconforto per tutta la giornata e in condizioni di semi prigionia, in attesa che mio padre potesse ottenere il permesso di proseguire il viaggio via terra. La mamma ancora sofferente e senza forze, stava semisdraiata su una poltrona della sala di attesa, pallida ed esangue ed io e mio fratello le facevamo compagnia, aspettando che papà ritornasse. Quando mio padre infine riuscì ad ottenere il permesso di transito dalle autorità egiziane, sbarcarono la Balilla dalla nave ma ci tennero fermi alla dogana per i controlli e altri documenti prima di lasciarci uscire dal porto.
Dopo aver fatto rifornimento di benzina, mio padre decise di partire subito da Port Said – che per ironia vuol dire “Porto Felice”, anche se era molto stanco e la mamma ormai non si reggeva più in piedi.
La strada era completamente rovinata e questa prima parte del nostro viaggio fu l’inizio di una sarabanda infernale di cinque settimane di sofferenze, perché negli anni cinquanta tutte le strade del nord Africa erano ancora devastate dalla guerra. Infatti dalla fine delle ostilità, tutto ciò che era stato distrutto dai bombardamenti aero-navali e dalle grandi battaglie del deserto, era rimasto abbandonato in attesa degli eventi.
I centosettanta chilometri di tronconi di strada e di piste sabbiose fino a Suez furono massacranti. La Balilla si insabbiava facilmente con le sue gomme strette e nei tentativi di uscire dalla morsa della sabbia il motore si surriscaldava, costringendoci a fare delle soste forzate, coperti di polvere e di sudore.
La velocità di crociera, non superava i quaranta-cinquanta chilometri ora, su tratti di strada uniforme, ma scendeva a passo d’uomo quando era malmessa, per evitare dardi alle parti meccaniche, introvabili in quei giorni per una Balilla del 1937.
Ad un posto di bocco della polizia stradale, dopo il controllo dei nostri documenti ci fecero deviare su una pista perché erano in corso dei lavori di assestamento della strada e la ricostruzione di un ponte crollato
Dalla pista si sollevava una polvere giallastra che irritava gli occhi e toglieva il respiro, costringendoci a tenere i fazzoletti su bocca e naso per poter respirare. La visibilità era compromessa dalla polvere che si depositava sul parabrezza e la velocità era poco più che a passo d’uomo, ma anche viaggiando così lentamente, era meglio che stare fermi.
Il viaggio
Mestieri
imprenditoreLivello di scolarizzazione
frequenza scuola media inferiorePaesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1951Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Kemal Subasciaki
Costretti alla fuga
All'inizio del 1950 il capo fabbrica italiano della distilleria di anetolo di mio padre, che produceva...
Via sulla Balilla
Fortunatamente il personale delle fabbriche era stato liquidato il mese prima e negli uffici non c'era...
Fuori strada
Era già pomeriggio inoltrato quando, la macchina sprofondò a muso in giù in una buca profonda,...
L’ultimo miglio
Stavamo uscendo dall'Egitto e la prima cosa che pensammo, fu "finalmente siamo sulla strada di casa...