Vita a bordo

Una volta giunti al porto, mio cugino stese il braccio indicandomi col dito di guardare verso la nave, che era stata battezzata col nome “Contegrande”. I miei occhi si spalancarono di stupore, poiché in verità credevo che di fronte a me ci fosse un enorme edificio; in realtà, invece, si trattava della nave che da lì a poco sarebbe diventata la mia nuova dimora per diciotto giorni. a bordo, la mia educazione sulla vita, oltre a quella appresa nel mio piccolo villaggio, continuò. Sentii per la prima volta una lingua straniera quando dei passeggeri portoghesi mi rivolsero la parola. Dopo le fermate in Barcellona e Portogallo, giungemmo a Dakar e Senegal, e qui, al porto, vidi degli uomini neri che indossavano ciò che ai miei occhi sembrava carta bianca. Per un ragazzo la cui vita era stata limitata a un mondo piccolissimo, tutto ciò appariva molto estraniante dalle immagini usuali.

Durante le due settimane e mezzo di viaggio, la vita a bordo divenne schematica, e per me ogni giorno significava una nuova avventura. Avevamo delle cuccette sottocoperta, in una stanza larghissima che comprendeva altri venti uomini. Di sera venivano organizzati degli intrattenimenti come feste e balli e alle volte era la folla a scegliere come bisognava vestire per la sera, ad esempio, elegante o casual. Durante il giorno vedevamo i delfini nel mare che pigramente nuotavano vicino alla nave. Cibo ce n’era in abbondanza, e i buffet erano perfino in disponibili tra i pasti regolari. A intrattenerci, c’era poi anche il cinema, il quale fu una della nostre tante prime rivelazioni del nuovo mondo.