Mestieri
missionarioLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
AlgeriaData di partenza
1964Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
religioneTemi
religioneCosimo descrive la giornata tipo trascorsa nella comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù, contraddistinta dall’alternanza tra momenti di lavoro e di preghiera.
I giorni erano scanditi dalla sveglia alle cinque. Alle cinque e un quarto bisognava essere in cappella a recitare le lodi e celebrare l’Eucaristia. Alle sette colazione. E subito dopo si partiva per il lavoro. Il pomeriggio era dedicato alla vita comunitaria, alle letture bibliche e all’adorazione del Santissimo, che veniva esposto nell’Ostensorio verso le quindici e rimaneva fino alle diciannove. In questo spazio di tempo ogni postulante si sceglieva la sua ora di adorazione. Quest’ora era la più attesa da molti di noi. Un’ora di preghiera in pura perdita di se stessi. Era duro rimanere in silenzio. A volte senza parole, in un vuoto totale e di
abnegazione, ma certi che la forza di Dio trionfa nella nostra debolezza. Aveva ragione fratel Carlo a scrivere, mi pare in “Lettere dal deserto”, che è meno faticoso trasportare pietre, piuttosto che essere un’ora davanti al silenzio dell’Eucaristia. Lì, in quell’ora si realizzava la profezia di Teillard de Chardin: “Il futuro è più bello di tutti i passati e questa è la mia fede”. Stavo scoprendo il valore della preghiera contemplativa, come rapporto intimo con Dio che si fa pane spezzato e condiviso. Preghiera che si faceva grido e tenerezza insieme, bisogno di condivisione, di vivere la propria nullità, per essere come il seme che se non muore non porta frutti. Stavo vivendo un’esperienza dove tutto aveva un preciso significato, a cominciare dalle parole. Parole fatte soprattutto di silenzi, di concretezza, di fedeltà al Vangelo. Ero alla Scuola dell’ascolto, dove le parole erano gravide di senso e non certamente aquiloni che svolazzano tra le nuvole e si perdono nel mondo dell’illusione, dove tutto diventa il contrario di tutto. Con questa certezza mi abbandonavo ai piedi del pane-corpo di Cristo. Sentivo quella presenza assai esigente. Ma sapevo anche che il Dio di Abramo, di Isacco e di Mosè, non manda mai le sue creature a mani vuote. Così a quella scuola di vita capivo sempre più che l’unica via del Vangelo passa per i fratelli. Che Dio è il Dio della Comunità, della Fraternità, del nascondimento e della sconfitta. Senza i Fratelli non è possibile abitare la Sua casa, che è essenzialmente Giustizia, Verità, Servizio agli altri, a partire dai più deboli ed indifesi, dai più poveri.. Non era cosa facile. Come quando dovevo dividere tutto di me con Raoul, il fratello bretone. La sua durezza nei modi, la scarsa propensione a comunicare, ad esternare sentimenti, affetti, tenerezze, anche se dentro portava tesori immensi dí serenità condivisa. Specialmente per un italiano e per giunta del sud, come me. Forse io esageravo. Parlavo troppo e per un taciturno come Raoul, ciò non era gradito. “Il fou etre concret, Cosimò”, mi diceva, quando gli parlavo di tenerezza, di sentimenti, di sogni e di poesia. Queste erano minime difficoltà. Ma se ad esse si aggiungevano quelle di natura vocazionale, di scelte di vita! Alcuni di noi cominciavano a lasciare la Fraternità. Da quindici iniziali, i fratelli rimasti, alla fine di gennaio, ci trovammo in nove. Ciò era normale, a sentire Manù. La vita in Fraternità era dura. Non a caso l’”aneslem” (il “marabutto”, cioè fratello) dei musulmani, fr. Charles non ebbe la gioia di avere un solo seguace durante la sua vita, quant’anche li avesse cercati e qualcuno ci aveva anche provato, ma non aveva resistito a lungo. L’amore per Cristo e per i fratelli non è maí a buon mercato, se poi lo si vive alla sequela di Gesù di Nazareth, allora è un “amore “costoso”, che scuote, genera dolore”, come scriveva Bonhoeffer. Vivere nel nascondimento e nello stesso momento testimoniare l’amicizia come poveri e con i poveri, voleva dire annientarsi, scomparire nel proprio mondo, in tutto quello che si era prima di entrare in Fraternità. I Fratelli entrando in Comunità davano un taglio netto al loro mondo di prima. Vi arrivavano medici, ingegneri, magistrati, insegnanti, operai. Tutti diventavano semplici viandanti dell’amore di Cristo, al seguito del carisma del “Fratello Universale” il quale dalla profondità del deserto sahariano aveva scritto: “Dal momento che ho conosciuto Dio, ho desiderato ardentemente annunciarLo con la vita fino ai confini del mondo”.
Si trattava di vivere come Gesù a Nazareth. Questo obiettivo era l’essenza della vita del Piccolo Fratello. e veniva realizzato attraverso uno stile di vita semplice, essenziale, per mezzo del lavoro e dell’amicizia con gli ultimi della società.
Il viaggio
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