Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
GermaniaData di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Rientrata in Italia dopo dieci anni di lavoro in Germania come impiegata del Ministero Affari Esteri, Maria Emanuela Galanti raccoglie le memorie di alcuni italiani emigrati incontrati in quel periodo. Tra questi: Vittoria, che vuole rimpatriare dopo un matrimonio finito con un cittadino tedesco.
Vittoria aspetta in fila con pazienza e quando arriva il suo turno si siede lasciando cadere un po’ maldestramente le buste di carta che ha in mano. Non mi ci vuole molto per capire – me Io dirà lei stessa poco più tardi – che le buste contengono reperti medici, analisi cliniche che ha portato con sè perchè dopo dovrà andare dal dottore per un ennesimo controllo. Da me è venuta per un motivo apparentemente banale, vuole “informazioni sul rimpatrio”, ma con questo non intende il certificato di rimpatrio che si ottiene in pochi minuti presentando l’Abmeldung; vuole piuttosto – ha atteso con infinita pazienza e con altrettanta costanza ora mi interroga – informazioni generali su come sarà l’Italia che ritroverebbe dopo trent’anni di assenza se decidesse di rientrare per sempre: quale assistenza medica, quali sussidi per la disoccupazione, “potrei trasferire i miei diritti in questo settore acquisiti in Germania?”— una domanda che mi spiazza, lasciandomi con la penosa convinzione che mai l’Unione Europea che si sta costruendo sarà in grado di essere all’altezza dell’aspettativa di persone come Vittoria, che faticano ad accettare l’idea di diverse, diversissime legislazioni nazionali. Vittoria è sola qui in Germania, troppo sola; la sua vita matrimoniale con un cittadino tedesco è finita e si è resa conto di non avere neanche un’amica. Mi dice “sono a pezzi” e “lei non sa cosa ho passato io” e fa un gesto come per mostrarmi le sue analisi mediche. Mi sembra che voglia convincermi della gravità della sua malattia, un momento di paura per la scelta che sta per fare, la tentazione di sfruttare l’inerzia delle istituzioni per farsi dire ufficialmente che conviene restare. E invece no, di restare io non glielo dico, non posso proprio essere io a dirglielo, io che in una situazione forse analoga ho deciso di rientrare in Italia dalla mamma, lasciandomi alle spalle un continente che molti avevano visto e continuano a vedere come una favolosa terra promessa. Guardo Vittoria davanti a me: i capelli bruni e folti, lunghi e ordinati, tinti con l’hennè, un modo di coprire i capelli bianchi che la rende simile a tante quarantenni italiane di cui lei pensa di ignorare usi e costumi, il viso forte e volitivo, le mani curate con le unghie di un ovale perfetto e le dita lunghissime, che vedo bene a pizzicare le corde di un’arpa o a modellare la creta. Guardo Vittoria, i suoi occhi stanchi ma luminosissimi, e le dico : “io vedo solo una donna molto bella e molto interessante, che la sofferenza ha reso ancora più bella e interessante…” Il sorriso che le increspa le labbra mentre accetta il complimento, il portamento fiero, la testa eretta che ora mi mostra insieme ad una schiena lunga e dritta volgendomi le spalle mentre si aspetta ad uscire, mi fanno pensare che Vittoria ce la farà a tornare in Italia e che presto la rivedrò per quel certificato di rimpatrio che pensavo venisse a chiedermi oggi. So che Vittoria, che ho chiamato così per questo, vincerà sul male che l’ha colpita.
Il viaggio
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