Mestieri
ufficiale medicoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Il 5 maggio del 1936 ha fine la guerra d’Etiopia: Mussolini proclama da Roma la vittoria, i soldati festeggiano. Ma l'ufficiale medico è testimone di un "orribile fattaccio" commesso da due militari e che "tanto sdegno suscitò nell'animo di tutti".
Il Capitano disse: «La guerra è finita vittoriosamente, come si prevedeva. Tutta l’Abissinia è nostra – Presto ritorneremo festosamente accolti alle nostre case». Poi rivolgendosi alle sentinelle disse in tono scherzoso: “Voi potete anche scaricare vostri fucili». Quelle lo presero sul serio e cominciarono a sparare all’aria aumentando la confusione ed il baccano. Intanto altri ospedali, battaglioni e servizi, seppero della lieta notizia, tutto il campo s’illuminò di luci e di fiaccole ed echeggiò dì grida di canzoni e di evviva – Sembrava di assistere ad una bolgia infernale. S’intonarono Canti patriottici, s’improvvisarono musiche assordanti, s’inneggiò al Re, al Duce, all’Italia e a tutte le nostre famiglie. Noi ufficiali fummo invitati dalla 26ª sezione disinfezione a brindare alla fulgida vittoria, e lì tra canti, musica, discorsi, grida e baldoria, ben imbevuti di champagne, si trascorse tutta la notte fin quasi all’alba, che ci trovò senza saperlo come, nei nostri soffici letti a sognare un trionfale ritorno in Patria.
6 maggio Anche oggi si sono avute entusiastiche dimostrazioni e molta inusitata allegria. Lo spunto è stato dato dalla tromba che à suonato la sveglia. Era un pezzo che quei bei nostalgici suoni non si udivano… Il colmo dell’entusiasmo si è invece avuto quando si è ascoltato il discorso pronunciato dal Duce in Piazza Venezia. Questa indimenticabile giornata è stata però sciupata da un orribile fattaccio che à suscitato tanto sdegno nell’animo di tutti. Due soldati del genio telegrafisti videro una donna indigena intenta a fare la legna. L’aiutava un suo cugino. Complottarono il da fare e uno si diresse all’uomo e gli domandò se dietro pagamento poteva cedere la donna. Il buon indigeno senza andare sulle furie per l’ignobile baratto che gli si proponeva rifiutò dicendo: avere marito, vergogna. L’altro intanto senza perdere tempo, afferrò i capelli della povera donna e tappandole la bocca, la trascinò per una cinquantina dì metri, finché il cugino della donna non si avvicinò per aiutarla. Quel bruto, imbestialito, estrasse la pistola e sparò due colpi che fortunatamente non colpirono l’indigeno, il quale naturalmente si dette alla fuga. Poi, consigliato da un suo amico, si recò con questi ad un forte e raccontò tutto ad un sergente, che con quattro uomini si recò sul posto. In quel mentre, il marito dell’indigena, che era stato avvertito non so da chi, era corso a trarre da quel bruto la sua donna; ma appena si fu avvicinato venne colpito da un proiettile al braccio e cadde svenuto a terra. Qualche minuto dopo arrivò il gruppo di soccorso; ma anche allora quel vile compì un altro atto della sua follia sparando contro uno degli indigeni che cadde e morì sul colpo. Compiuto quest’altro misfatto si dette alla latitanza e non fu possibile rintracciarlo né sapere chi fosse. Si è dovuto procedere quindi all’esame dei fucili e pistole di tutti i soldati qui accampati e trovata una pistola che emetteva il caratteristico odore di fumo dopo lo sparo, venne arrestato il proprietario che negò di essere il colpevole. Messo però al confronto fu subito riconosciuto dalla donna, e allora confessò tutto. Lo sdegno e il disgusto verso questo bruto è stato enorme. Gli stessi suoi compagni l’avrebbero voluto impiccare davanti alle famiglie indigene offese e rattristate da lutto. Ma non se la passerà certamente liscia: e invece di tornare trionfalmente in Italia dovrà scontarsi almeno 30 anni di galera. Il marito della indigena che fu ferita al braccio è ora ricoverato nel nostro ospedale e si apprestano tutte le cure per trarlo in salvo.
Il viaggio
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