Paesi di emigrazione
RussiaData di partenza
2001Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Mentre ad alcune centinaia di chilometri prosegue la guerra tra russi e ceceni, Fabrizio Bettini volontario della Operazione Colomba percorre i sobborghi di Volgograd affiancando i volontari che prestano soccorso ai bisognosi.
Volgograd (giugno 01)
La Guerra è lontana e entrarci dentro per stare al fianco delle vittime è una cosa quasi impossibile. Impossibile per vari motivi il primo è quello ambientale, i posti più vicini alla guerra, quella combattuta veramente, e quelli che ospitano la maggior parte di profughi sono inabitabili per noi occidentali che siamo prede ambite da coloro che con il “business” dei rapimenti si sono arricchite o hanno ambizione di farlo. Il secondo motivo che non ci aiuta ad iniziare una presenza da queste parti è quello della diversita’ di mentalità. Da queste parti uno straniero non è sempre visto bene, c’è molta diffidenza e la burocrazia, che qui è la regola, ci fa fare fatica, e anche per fare un semplice viaggio esplorativo bisogna premunirsi di documenti che dichiarino chi siamo, dove andiamo e da chi andiamo. Ciononostante crediamo sia giusto provare tutte le strade, non lasciare nulla di intentato, per questo la settima prossima partiremo per l’ennesimo viaggio verso sud alla ricerca di qualche spiraglio che ci permetta di cominciare a fare quello che siamo capaci, ossia: stare in mezzo alla gente e fare con e per loro piccole cose che gli aiutino nella quotidianità, poi, con la nostra testimonianza, cercare di dare un’alternativa all’odio. La Russia che vi posso raccontare in questo momento non è, pero’, quella che muore in Guerra ma quella che muore giorno per giorno. Non il fronte del Caucaso ma la quotidiana, normale sofferenza qui a Volgograd.
La settimana scorsa ho accompagnato M., che per l’APG23 si occupa di dare un minimo di conforto ai senzatetto, nel suo solito giro. In questo momento si sta occupando un po’ più assiduamente di una vecchia conoscenza: N.. N. da molti anni vive sulla strada, pare abbia due figli che vivono lontano; la sua età é indefinibile e apparentemente si potrebbe pensare né abbia più di sessanta ma so che la vita di strada pesa sul fisico e sul volto di queste persone quindi presuppongo ne abbia molti meno. Non conosco la sua storia ma sicuramente assomiglia a quella di molte altre persone che dieci anni fa, al crollo dell’Unione Sovietica, si sono trovate spaesate e incapaci di vivere in questo nuovo mondo, probabilmente alcune vivevano ai margini anche prima ma allora il sistema non permetteva che si vedessero in giro. La vodka prima o poi è entrata nella loro vita per aiutarli a dimenticare problemi grandi e piccoli e poi pian piano è diventata l’unico problema ma anche l’unico amico. M. e gli altri dell’APG23 gli stanno vicini e cercano di dare, quando possono, a queste persone una doccia calda e un pasto. N. ultimamente si è procurata una grossa infezione ad una gamba che con pazienza si cerca di curare portandole la pomata e disinfettandole la ferita. A volte N. accoglie M. e gli altri ubriaca, e allora si vergogna, si nasconde, chiede scusa perché sa che aveva promesso di non ubriacarsi mentre stava prendendo gli antibiotici. M. non giudica ma cerca di far capire a N. che da ubriaca lui non la può aiutare, antibiotici e alcol non vanno d’accordo. La settimana scorsa con M. siamo andati al solito posto, il piazzale prospicente la chiesa ortodossa, che è diventato da anni il posto di ritrovo e di “lavoro” (elemosina) di un gruppetto di senzatetto, il motivo del giro era quello di controllare la gamba di N. e applicare l’ennesima medicazione. Al nostro arrivo N. era ubriaca e era distesa al fianco del cancello principale che porta alla chiesa. Le sue reazioni erano minime e delle tracce sull’asfalto mi facevano capire che probabilmente da molto tempo si trovava seduta in quella posizione. M. incomincia a parlarle da amico e come un amico le fa capire che non è arrabbiato per il fatto che lei sia ubriaca ma cerca di farle capire che la gamba non migliorerai continuando così. Fino a questo punto tutto mi sembrava rientrare in un copione già scritto, ma una signora sulla cinquantina bene vestita e distinta, uscita dalla chiesa, comincia a raccontare concitata di conoscere N. e di sapere che ha dei figli, e che in passato aveva persino frequentato un istituto che le aveva persino rilasciato un diploma di qualche genere. La signora sempre più concitata incomincia a dire che è colpa di Gorbaciov e delle privatizzazioni da lui volute se esistono queste situazioni, cerca anche di fare uno strampalato paragone fra la crisi economica americana del 29 e quella russa di oggi aggiungendo inoltre che la Russia è grande e forte e si risolleverà. Finisce più infelicemente di come aveva iniziato, con un tono acuto, si chiede come mai data la vastità della Russia debbano venire degli stranieri a dare una mano a queste infelici persone. La cosa che mi ha colpito in questo incontro è naturalmente il tono più che le parole; pur capendo solo parzialmente le parole di questa signora distinta ho capito che nulla era contro di noi ma il tono nei nostri confronti era quasi accusatorio, il riferimento alla politica di Gorbaciov, che mi sento di non condividere per niente, e la vena di nazionalismo sono secondari. Riflettendo mi chiedo quante persone stiano soffrendo per la dura quotidianità da queste parti, i senza tetto sono solo la punta di un iceberg.
Due settimane fa, nella piccola parrocchia cattolica di Volgograd, quattro bambine hanno ricevuto la prima comunione. Una di queste era T., la figlia della responsabile della APG23 qui a Volgograd. Con T. un altra delle quattro bambine ha festeggiato con noi, qui a casa. S. è una bambina minuta dagli occhi e dai capelli neri. Con lei ci sono le due sorelle più piccole, la nonna e al mamma. Abitano fuori città e con loro abita anche il padre che pare sia alcolista. La povertà di questa famiglia pare sia grande, c’è chi mi dice,che a volte, non abbiano nemmeno cibo sufficiente, la loro casa pare sia una baracca. Mi colpisce innanzitutto la grande dignità soprattutto nella nonna che pare sia la vera colonna vertebrale della famiglia. Il loro cognome non mi suona russo, effettivamente è tedesco. In questi momenti un bel libro di storia è sempre utile. Scopro, infatti, che all’epoca degli zar era stata favorita l’immigrazione di contadini tedeschi ai quali era richiesto di colonizzare alcune terre proprio sulle rive del Volga. La storia va avanti e con la rivoluzione bolscevica questa minoranza viene riconosciuta anche territorialmente, mi pare che si chiamasse Provincia Tedesca del Volga, naturalmente in seno alla nascente Unione Sovietica. Con la seconda Guerra mondiale questo territorio scompare poiché Stalin giudica, a torto o a ragione, queste persone di origine tedesca come collaborazionisti e li deporta spargendoli per tutto il vasto territorio dell’unione. Scopro, infatti, che la famiglia di S. ha vissuto molti anni in Kazakhistan, ma mi fa una strana impressione leggere la storia negli occhi neri e spensierati di S. o in quelli stanchi della nonna. Forse loro sperano di tornare in quella lontana terra dalla quale alcuni dei loro antenati partirono, molti già l’hanno fatto, ma le difficoltà burocratiche sono insormontabili. Dopo la cerimoni S. si toglie il vestito bianco e si mette un maglioncino con dei disegni a forma di rosa alpina, ora i conti della storia mi tornano, S. è proprio una piccola tedesca di Russia.
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