Mestieri
contadinoLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1936Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli scenari e le sofferenze che attraversano le truppe italiane impiegate nella guerra d’Etiopia, nel 1936, nei ricordi vivi di Giuseppe Morettini.
Esistevano tante grandi montagne e tante grandissime pianure che non finivano mai. Si vedevano animali di tutte le specie, soprattutto tante belle volpi con pellicce meravigliose. Noi, i giorni di riposo, ci mettevamo in quei sentieri lacci di filo di ferro e la mattina le trovavamo prese da questi lacci. Si accapavano delle pelli con certe code! Le abbiamo trasportate per un po’ di tempo, ma poi siamo stati costretti ad abbandonarle. Si vedevano grandi tartarughe che pesavano oltre 10 chili. Si riprendeva sempre il nostro cammino e si facevano anche oltre 30 chilometri. La sera si arrivava sempre molto stanchi, tutti bagnati di sudore. C’erano certi compagni miei, molto più grandi di me, robusti che cascavano in terra come foglie. La stessa sorte capitava ai muli che, con il vasto carico cadevano per terra senza più rialzarsi. Il clima non gli conferiva. C’era l’aviazione con dei caccia bombardieri che portavano degli spezzoni da quattro chili e dove vedevano questi abissini, glieli gettavano addosso. Loro non erano esperti di gettarsi a terra e si mettevano a correre. Questi piccoli apparecchi si infilavano in mezzo a quelle montagne a bassissima quota come uccelli. In più ci davano informazioni dove meglio potevamo passare, soprattutto nelle zone montuose. In genere, se era possibile, si passava a fianco di queste grandi montagne. Altre volte, anche in mezzo a due montagne dove si camminava molto male: in alcuni punti si doveva salire con le mani e con i piedi. Altre volte non si poteva fare altro che scalare queste montagne e, una volta arrivati in cima era tanto difficile respirare. Nonostante l’aria fosse fresca, mancava l’ossigeno. Vedevamo delle rocce umide di acqua. Noi con tanta sete ci avvicinavamo a queste rocce e si vedeva che calava un po’ d’umidità. Allora si prendevano delle pagliette che infilavamo fra le connettiture di queste pietre. Dopo qualche minuto veniva fuori qualche goccia di acqua. Per farne una cucchiaiata si impiegava anche un’ora. Per noi era tanto importante, per la nostra sete. Poi si riprendeva a camminare dall’alba al tramonto. Faceva sempre molto caldo che eravamo tutti bagnati di sudore. Passavano i mesi senza lavare mai le mani e neppure il viso, perché acqua non ve ne era. Eravamo pieni di pidocchi. Ne avevamo più che i capelli in testa. Solo che questi pidocchi, non usavano abitare nella testa oppure nella barba che io portavo, perché dal giorno che mi ero imbarcato non l’avevo più tagliata – ma preferivano attaccarsi nelle cuciture della camicia e dei pantaloni. Erano così fitti che uno toccava l’altro tanto da formare una centina. I giorni che non si viaggiava ci spogliavamo e poi si tentava di distruggere questi animali. Ma dopo un giorno o due ve ne erano più di prima. Pazienza! Ci avevamo fatto l’abitudine! Ogni qualche mese si ricevevano notizie dai genitori e anche dalla fidanzata. Uno si faceva un po’ più d’animo leggendo quelle notizie; non pareva vero che quelle lettere erano partite da quei luoghi così tanto lontani.
Il viaggio
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